L’Ascoli c’è. L’Ascoli dei giovani cresce di partita in partita. Questo risulta oggettivamente vero ed innegabile in questa prima parte di stagione. Senza sbilanciarsi, senza bramare vette future che saranno proibitive anche solo da pensare, c’è però da dire che il progetto tecnico sta dando i primi segni di un lavoro meticoloso.

Partiamo dal duo: Fiorin-Maresca. Il primo un silenzioso e apparente mite uomo che spesso ha vissuto alle spalle di primi allenatori, ma immagazzinando una marea di informazioni utili sotto l’aspetto tecnico-tattico di una squadra. L’altro, giovane, occhi della tigre e maniacale attenzione ai dettagli. Mi perdoneranno se ho cercato di sintetizzare in due righe il loro essere. I punti d’incontro sono uno studio quotidiano, la voglia di mettere sul piatto innovazione e un discorso tattico che punti all’essere positivi in campo non abbattendosi contro nessuno. Il tutto, avendo a disposizione una marea di giovani promettenti offerti dalla società.

In questo inizio di stagione, la nota migliore che dovrebbe far sorridere di piacere i tifosi pensando al lavoro dello staff tecnico è proprio legata al campo. Il gioco, lungo da imparare soprattutto se ad interpretarlo ci sono i giovani, esula dal concetto di modulo, dagli schemi, da posizioni in campo. Gli esempi più eclatanti riguardano le posizioni dei tre trequartisti quando si gioca ad esempio con il 4-2-3-1. In questi casi, i tre giocatori invertono spessissimo le posizioni in mezzo al campo. Si può benissimo vedere ‘Nacho’ Varela, nel corso di una partita, giocare sulla trequarti centrale, più che a sinistra, veder girare a destra Baldini e, perché no, a volte anche osservare Favilli venire a giocare fuori dall’area (cosa che gli piace parecchio) e veder buttarsi dentro gli altri. In caso di 4-3-3, la situazione è ancora più interessante: Buzzegoli sarebbe il regista, il pivote se così si vuol chiamare, ma anche lui si trova alto (vedi l’occasione del gol di Varela a Cesena) con la mezzala di turno che rimane dietro (Carpani, nella fattispecie). Ma Carpani, giocatore utilissimo in questa prima fase, quando l’azione riparte da Lanni è il centrocampista che attacca sin da subito la profondità. Concetto di movimento, non dare punti di riferimento, non far “abituare” il difensore avversario a marcare sempre la solita persona in modo che ne prenda le misure. Tanti, ad inizio campionato, hanno voluto trovare parallelismi tra il possesso palla di Fiorin-Maresca e quello di Pep Guardiola e delle sue squadre. In realtà, la caratteristica più vicina dei bianconeri a quel tipo di gioco è proprio quella legata al concetto di spazio da occupare. Il modulo non deve essere una stanza dove imprigionare il proprio gioco, bensì dei dettagli mentali sul come occupare lo spazio in campo soprattutto in fase di non possesso.

Per carità, nessuno può mettere in discussione l’importanza di un equilibrio in campo dettata dalle posizioni, ma è anche vero che lavorare “per concetti” aiuta il giocatore a ripetere una determinata giocata in diversi momenti e in diversi occasioni. Questa concezione di lavoro (per altro molto associabile allo stile zemaniano, che spiega spesso gli schemi ai suoi per concetti e mai come dogmi) permetterà allo staff tecnico non solo di poter cambiare nel corso sia della partita che del campionato in base all’avversario, ma sarà utile per lasciare una discreta libertà di giocata ai giovani in campo, portati dall’età ad essere spesso sfrontati nella giocata stessa. Ed è quello che serve. Se si chiede ad un giovane di muoversi come un giocatore navigato, sicuramente renderà meno e sbaglierà di più, almeno all’inizio.

Un lavoro meticoloso dunque, ma diretto e studiato, legato alla crescita costante e alla risoluzione dei problemi visti in partita precedente da non ripetere in quella futura. Comunque vada, questo tipo di gioco è una rivoluzione nel calcio ascolano. Ci hanno provato, con scarsi risultati, sia Petrone che Aglietti negli ultimi anni. Al di là delle caratteristiche dei giocatori in campo, i tecnici hanno saltato proprio questo passo: lavorare sul concetto di calcio e poi sul modulo, cosa che invece ha ingabbiato soprattutto l’allenatore toscano nei primi mesi bianconeri. Che dire, se la crescita sarà costante il bello deve davvero ancora arrivare.

Matteo Rossi