L’ articolo  31  del cosiddetto Decreto Salva Italia (Decreto Monti) che anima oggi  il dibattito politico sul tema aperture domenicali, contiene una norma che, scompaginando le potestà legislative attribuite dalla  Costituzione  alle Regioni dopo la riforma del 2001 (art. 117),  si è prepotentemente inserita nell’ordinamento italiano cancellando anni di confronti in tema di aperture domenicali e festive e  tutta la legislazione che legittimamente le regioni italiane avevano prodotto.

Un prepotente e maldestro colpo di spugna su cui le organizzazioni sindacali hanno da sempre manifestato, senza indugi, la propria contrarietà anche sostenendo direttamente la legge ad iniziativa popolare promossa da Confesercenti con il sostegno della Conferenza episcopale.

Le aperture domenicali e festive indiscriminate, non costituiscono una risposta alle esigenze dei consumatori che intervistati dalle stesse associazioni datoriali ritengono sufficienti   10/12 aperture straordinarie  l’anno (indagini Cermes- Bocconi), né del  turismo italiano che di certo non gode delle aperture 365 gg l’anno  degli ipermercati di periferia. I centri storici e le aree di interesse artistico sono sede di piccoli esercizi commerciali che da sempre scelgono di aprire solo in limitati periodi dell’anno, come il Natale .

Nemmeno l’occupazione della grande distribuzione beneficia delle aperture “no limits” perché i consumi, fortemente ridotti da oltre 10 anni di crisi economica, si sono solo distribuiti diversamente nell’arco della settimana, senza determinare concreti incrementi di fatturato.

La forza lavoro a termine, concentrata nei fine settimana, da tempo è stata eliminata, falciata da una poderosa contrazione dei fatturati che ancora morde gli operatori del settore, traducendosi in maggiori carichi di lavoro  per i lavoratori  a tempo indeterminato.

Ma se l’abrogazione dell’articolo che ha dato i natali alle  apertura “no stop”,  domeniche e feste incluse, dopo una sperimentazione più che fallimentare, risulta essere  un atto dovuto e scontato, l’idea delle aperture a scacchiera per garantire comunque  “un servizio” ai consumatori é fuorviante e concettualmente errata. Il rischio è infatti quello di considerare    l’acquisto di beni di consumo, perfettamente differibili alla giornata di sabato, come un  servizio  minimo essenziale.

L’individuazione di limiti massimi disciplinati da un decreto legislativo e rimodulati dalla legislazione regionale è sicuramente la via da percorrere, ma la riforma degli orari commerciali non può prescindere dal coinvolgimento preventivo delle associazioni sindacali, protagoniste della stagione dei confronti normati dalle stesse leggi regionali.

Fare presto e bene è quindi l’invito che facciamo a tutte le forze politiche protagoniste in Parlamento, agli imprenditori ed alle associazioni datoriali chiediamo invece di astenersi da inutili strumentalizzazioni sulla perdita dei posti di lavoro che è di certo un problema concreto e scottante, ma legato più generalmente al settore che segna andamenti negativi anche in costanza di aperture no stop.