Omelia per l’ordinazione presbiterale di don Giorgio Martelli

 

  1. Caro don Giorgio, tra le diverse domande che tra poco ti rivolgerò, chiederò anche: “Vuoi insieme con noi implorare la divina misericordia per il popolo a te affidato, dedicandoti assiduamente alla preghiera come ha comandato il Signore?”. Immagino che risponderai con un “si” colmo di commozione e di decisa volontà di seguire il Signore. E così ti impegnerai a fare della misericordia lo stile, la cifra del tuo ministero sacerdotale. Ti aiuta il contesto liturgico di questa domenica che sembra proprio portarci a sottolineare l’importanza della misericordia e della preghiera nella vita del sacerdote. Soffermiamoci dunque a riflettere insieme. Si attribuisce al grande scienziato greco Archimede la celebre affermazione: Da ubi consistam et terram coelumque movebo -datemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo. Per noi cristiani la leva per sollevare l’umanità dalla morte alla vita è la misericordia di Dio che si è fatta afferrabile da tutti gli uomini in Gesù Cristo. La misericordia è il volto autentico di Dio. La liturgia di questa domenica sembra all’unisono proclamare tale verità che sta nel cuore del Cristianesimo, ma riescono a farla propria solo coloro che sperimentano personalmente l’amore misericordioso del Signore e si lasciano rinnovare dalla forza del suo abbraccio. L’abbraccio che nel vangelo appena ascoltato stringe il padre al figlio prodigo rientrato nella casa paterna dopo aver scelto follemente di abbandonarla. Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te(Lc 15,21). Chissà quante volte questo figlio sbandato ha ruminato nell’animo agitato dal rimorso questa frase. Capita spesso a noi sacerdoti di ascoltare la confessione di gente che ritorna a Dio e di diventare strumenti consapevoli della misericordia divina. È senz’altro una fra le esperienze più belle che possiamo fare perché costatiamo che quando si tocca il fondo della propria fragilità con il peccato, anche il più grave, è sempre possibile a ogni uomo di rialzarsi. Il ritorno alla speranza è frutto e dono del perdono divino, del quale noi sacerdoti siamo indegni ma necessari dispensatori, specialmente nel sacramento della riconciliazione, sacramento che giustamente è chiamato il sacramento della gioia.
  2. Ogni volta che un peccatore ritrova l’abbraccio di Dio rivive la scena evangelica descritta da Luca. Il padre abbandonato dal figlio scapestrato, lo vede da lontano – quindi lo stava aspettando fiducioso – e subito ebbe compassione(Lc 15,20). Non solo, ma gli corre incontro! Di più: si getta al suo collo in un abbraccio sigillato dal commosso bacio del perdono. É una riabilitazione senza condizioni, sul campo: questo è il nostro Dio che sconvolge ogni logica umana. La parabola, tra le più commoventi di tutto il vangelo, ci aiuta a riflettere, c’invita a cambiare mentalità, c’indica come entrare nel cuore di Dio per afferrare il valore del nostro ministero presbiterale. Ricorda, caro don Giorgio, che il tuo sacerdozio parte da quest’abbraccio-incontro con Dio santo e misericordioso; da qui potrai trarre luce e sostegno per essere tu stesso strumento della misericordia divina in ogni occasione. Ripensa e non dimenticare mai la tua storia, e soprattutto la tenerezza con cui il Padre celeste ti ha mostrato la sua paternità. Non tradirai allora la fiducia con cui la Chiesa oggi ti accoglie quale ministro e strumento della grazia divina.
  3. Al giovane vescovo Timoteo – leggiamo nella seconda lettura – l’apostolo Paolo confessa di essere stato graziato dalla misericordia divina. Scrive così: “Rendo grazie a Colui che mi ha reso forte, Gesù Cristo Signore, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia ” (1Tm 1,12-13) L’avventura di Paolo ha molte analogie con la nostra storia. Se guardiamo con verità e fino in fondo la nostra vita, ci rendiamo conto che il Signore, nonostante le nostre fragilità e talora anche tradimenti, continua a credere in noi e ad affidare alle nostre mani e al nostro cuore il ministero della riconciliazione e i misteri della sua grazia. Tutto, ma veramente tutto è dono! Conservare nel cuore quest’umile consapevolezza ci preserva dalla tentazione di sentirci protagonisti in cerca di successi, ci libera dalla critica e dalla maldicenza, ci protegge dallo scoraggiamento davanti agli insuccessi e incomprensioni. Papa Francesco, con il suo tipico linguaggio, ci stimola a rifuggire dal sentirci “perfetti” e al sicuro nel recinto ecclesiale; peggio ancora quando si diventa indifferenti davanti alla pecora dispersa per i monti. Talora si può arrivare persino a condannare come ingiusto e parziale il pastore che abbandona il gregge fedele per inseguire la sola pecora fuggita per i dirupi.
  4. Sorelle e fratelli nel Signore! Non è lontano da noi il pericolo di identificarci nel figlio maggiore osservante e obbediente, che non solo rifiuta di capire suo padre e l’accoglienza del fratello minore, ma ritiene ingiusta la bontà del padre. Egli riaccoglie in casa questo suo figlio, “che ha divorato le tue sostanze con le prostitute” (Lc 15,30) tuo figlio – precisa – perché ormai per lui non è più fratello. Perdonare va bene, ma senza esagerare, e ammazzare il vitello grasso reintegrando il figlio nella famiglia appare un torto fatto a chi serve il padre da tanti anni, non ha mai disobbedito a un suo comando e però non ha mai ricevuto un capretto per festeggiare con i propri amici. Confesso che il figlio maggiore non ha tutti i torti, secondo un ragionamento umano. Ma sta qui un’importante chiave di lettura della vita cristiana che ci obbliga a rivedere il nostro modo di pensare e di agire. La parabola, Gesù, non la dice per i pubblicani e i peccatori, ma per i farisei e gli scribi che mormoravano proprio perché “Costui accoglie i peccatori” e addirittura “mangia con loro (Lc 15,2). Caro don Giorgio, se sei deciso a porti fedelmente alla sequela di Cristo non ti aspettare applausi e plauso; avrai da confrontarti con critiche e giudizi da parte di chi ragiona secondo logiche umane e non secondo il cuore di Dio. Inoltre camminando controcorrente sarai fortemente insidiato dalla tentazione dei compromessi al ribasso. Rimanere fedeli a Gesù non è facile, come l’esperienza mostra ogni giorno. Questo però è il sentiero che percorrono i santi; questo è ciò che oggi ricevi come missione. Scriveva il vescovo americano pioniere della telepredicazione mons. Fulton Sheen, prossimamente beato: «Innanzitutto il sacerdote è chiamato ad essere con-vittima e con-redentore con Gesù offerto sulla croce e sull’altare. Non basta alleviare le necessità materiali dei fratelli, occorre annunciare Gesù, farlo conoscere e amare. Convertire le anime a Lui e questo è frutto di santità, di unione con Dio».
  5. Il sacerdote è “con-vittima e con-redentore con Gesù offerto sulla croce e sull’altare”: si tratta quindi di un’unione così stretta con Gesù da monopolizzare l’intera esistenza, come tra poco ti dirò consegnandoti il pane e il vivo: “Conforma la tua vita al mistero della Croce di Cristo Signore”. La storia della Chiesa è segnata da persone che talora anche in buona fede si ergono a difensori delle “cose di Dio” ma finiscono per non avere più il contatto con Lui. Ti raccomando: mantieni con Gesù un dialogo che non conosce pause né interruzioni. Al primo posto nella tua missione non ci sono le opere di Dio, cioè l’apostolato nelle sue molteplici forme, ma Gesù. Impara a respirare Gesù in ogni istante, qualsiasi sia la tua attività; dimora in Lui con la preghiera del cuore incessante e profonda e chi t’incontra possa dire di aver riconosciuto in te i tratti della presenza di Cristo il quale, come afferma sant’Agostino, non ci lascia mai in pace finché non troviamo pace in Lui. Gesù non cerca burocrati e funzionari per la sua Chiesa, ma santi martiri del Vangelo e testimoni della sua gioia.
  6. Sii testimone della gioia! Ho avuto modo altre volte di raccontare ciò che mi disse il papa Paolo VI alla vigilia della mia ordinazione. Rimasi sorpreso perché, con una carica umana impressionante, ebbe a ripetere più volte che “il sacerdote è testimone della gioia”. Questa sera possiamo comprendere meglio il colore, il sapore e il valore salvifico di questa gioia: è la gioia del perdono divino, la gioia che irradia nel cuore la misericordia di Dio. Offrendo alla tua considerazione queste pagine della Bibbia che respirano il dono della misericordia, la Provvidenza ti chiama a fare della gioia del perdono lo stile della tua vita e della tua missione. Il futuro che ti attende non è facile, ma meraviglioso perché carico di molteplici sfide ed opportunità missionarie. Non andare armato di umane sicurezze, né equipaggiato di tante certezze. Cammina con la consapevolezza che Dio ti ama e non temere nulla! Sii felice di essere prete e diffondi la gioia, la pienezza della gioia che Gesù ha assicurato ai suoi apostoli. Gioia che è frutto dello Spirito Santo, il quale “dona ancor oggi a tanti cristiani la gioia di vivere ogni giorno la loro vocazione particolare nella pace e nella speranza, che sorpassano le delusioni e le sofferenze”(Paolo VI, Esortazione apostolica “Gaudete in Domino”). Ti accompagna la Madonna, che in questo giorno contempliamo Madre dei dolori e consolatrice delle lacrime dei suoi figli nella prova. A Lei affido il tuo sacerdozio perché con il suo aiuto e sotto la sua protezione, tu possa camminare fedelmente nei sentieri del ministero presbiterale, diffondendo la gioia del perdono e la potenza dell’amore misericordioso di Dio.

 

Ascoli Piceno, 14 settembre 2019

 

☩  Giovanni D’Ercole