1. Cari fratelli e sorelle, celebriamo oggi la Messa Crismale che in genere precede il Triduo Pasquale. Lo facciamo ora a causa del lockdown che ci ha obbligati a restare chiusi in casa per ben oltre due mesi. In verità, non abbiamo ancora recuperato appieno la nostra libertà di movimento e quindi questo rito, il primo che si svolge con la partecipazione di tutti noi presbiteri e una rappresentanza delle nostre comunità, costituisce – me lo auguro – l’anticipo nella speranza di una nuova prossima stagione per le nostre assemblee liturgiche aperte a tutti. Ci vuole certo prudenza e tanta gradualità per via della pandemia da Covid 19, ma non dobbiamo cedere alla paura, cattiva consigliera nelle circostanze della vita. “Non abbiate paura” è l’invito più volte risuonato in questi giorni nella liturgia, ascoltando le parole che Gesù ha consegnato ai suoi discepoli nel Cenacolo. Entrando nel clima del Giovedì Santo, data per noi abituale per questa celebrazione, tra poco benediremo l’olio dei catecumeni e quello degli infermi; sarà poi consacrato il Crisma. E noi presbiteri, memori del dono incommensurabile del sacerdozio ministeriale, rinnoveremo le promesse sacerdotali dinanzi alle nostre comunità idealmente raccolte in questa cattedrale. A voi, cari fedeli che saluto con affetto, chiedo di accompagnarci con la preghiera e di assicurarci il vostro costante sostegno spirituale e materiale.
2. Il Vangelo poc’anzi ha riproposto alla nostra attenzione il testo del profeta Isaia, che Gesù proclamò nella sinagoga di Nazareth. Spero non vi sia sfuggito che, nel leggerlo, egli però troncò il brano al versetto 2b , in cui il Profeta annuncia il “giorno della vendetta del nostro Dio”. “Lo spirito del Signore è sopra di me; – ha detto Gesù – per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”. Qui si fermò omettendo il versetto seguente: [il giorno di vendetta del nostro Dio…] anche se è proprio la vendetta per castigare i peccatori che non poca gente allora e forse ancor oggi s’attende dal Messia. Gli Ebrei speravano in un Messia che facesse giustizia, annientasse i nemici del suo popolo; un Messia pronto a ristabilire la supremazia dei suoi seguaci. Insomma, un Messia vincitore su tutta la linea. Esiste per tutti il rischio di sperare in un Dio che soddisfi sempre le attese dei suoi devoti, che assicuri il successo a ogni nostra richiesta, la vittoria sicura a chi lotta in difesa della giustizia, la liberazione da ogni difficoltà per chi lo onora, l’affermazione del suo potere pieno e definitivo. L’azione di Dio non sempre corrisponde alle nostre domande. Gesù sembra qui completare e correggere la profezia di Isaia, e questo sin dall’inizio della sua missione pubblica. Il Messia è venuto nel mondo per sconfiggere la prepotenza del male con l’onnipotenza dell’amore; è venuto ad annunciare il perdono e non la vendetta, perché da parte di Dio c’è soltanto una parola d’amore, di grazia, mai di vendetta. Nella sinagoga di Nazareth venne a crearsi una forte tensione. “ Gesù riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette” e gli occhi di tutti – precisa san Luca – restarono fissi su di lui, aspettando il seguito; ma la proclamazione era finita. Con questo gesto, Gesù apriva la sua vita pubblica andando controcorrente rispetto alle aspettative del popolo. Affermare la supremazia di Dio che è Amore e affermare se stesso il Messia promesso gli causerà un’esplosione di ira; cercheranno in tutti i modi di ucciderlo. Ma Egli è chiaro: “Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Oggi, si realizza questa profezia in Gesù di Nazareth! Gli anni della vita pubblica saranno un costante riferimento a questo messaggio; tutto e sempre parlerà di misericordia e di amore, anche se nemmeno i suoi lo capiranno e saranno incapaci di seguirlo. Tanti sono i riferimenti al vangelo della misericordia negli insegnamenti e nelle parabole. Dall’inizio alla fine la vita del Cristo è un’incessante testimonianza della misericordia divina, amore gratuito offerto a tutti, amore infinito e sconvolgente di cui è emblematico segno il Crocifisso, che, come ricorda l’apostolo Paolo, diventerà “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani”(1Cor 12, 3). La croce di Cristo, mistero di amore infinito, è il cuore del Vangelo. Cari presbiteri, come amministratori privilegiati della divina misericordia, siamo chiamati a convertire la mente e il cuore a uno stile di azione apostolica ritmato dalla divina misericordia, dall’amore verso tutti, un amore gratuitamente ricevuto e gratuitamente diffuso. Se questo non passa nel nostro ministero, se non ci convertiamo all’amore e al perdono come stile di vita, il lavoro apostolico che compiamo non solo rischia di essere inefficace, ma può diventare persino controproducente.
3. Domenica scorsa, festa dell’Ascensione, meditando sulla sua ascesa al Padre, non vi sarà sfuggito che Gesù lascia sulla terra un apparente magro bilancio della sua vita pubblica. Delle folle che lo acclamavano cosa resta? La gente l’ha abbandonato; gli rimangono accanto solo undici uomini spaesati e impauriti, insieme a un gruppetto di donne, queste sì, fedeli e generose. Ecco tutto ciò che Gesù sembra raccogliere come frutto del suo intenso apostolato, della sua infaticabile azione missionaria, del suo annunciare e proclamare il Vangelo. Gli apostoli l’hanno ascoltato e seguito per tre anni lungo le strade della Palestina, hanno condiviso tutto con lui, eppure non sono cambiati. Anzi la morte del loro Maestro li ha sconvolti e, persino dopo la risurrezione pur avendolo incontrato a più riprese, non hanno riacquistato vigore e sono tornati alla loro attività di sempre: la pesca. Si riprendono in mano la vita, e apparentemente nulla resta della scuola del loro Rabbi. Una cosa però il piccolo resto dei discepoli l’ha fatta: ha risposto compatto all’appuntamento con il loro Maestro sul monte di Galilea, e questo gli basta per continuare a fidarsi di loro; egli sa che in fondo lo amano, anche se non lo hanno capito e sono pieni di dubbi e paure. Anzi, è proprio a questi pochi uomini che affida per tutti il mandato missionario noncurante dei loro tradimenti: ”Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”(Mt. 28,16-20).
Cari fratelli e sorelle, può capitare anche a noi di camminare nel buio delle difficoltà e di sentirci invasi da dubbi. I dubbi – commenta un mio amico – sono come i poveri, li avremo sempre con noi. Se abbiamo il coraggio di affrontarli, non faremo fatica a renderci conto che anche il dubbio può diventare nostro alleato per non accontentarci di una fede nutrita di frasi fatte e di risposte superficiali. Ci sarà un motivo se Gesù non ha consegnato la sua eredità spirituale ai più bravi della classe, ma alla fragile umanità di semplici pescatori, a gente a prima vista sprovveduta. Dai suoi apostoli il Signore non si attende la sicurezza dei sapienti, ma la fiducia di umili discepoli, che credono nel suo amore, pur consapevoli delle loro misere potenzialità. Affida il Vangelo a un ridotto manipolo di uomini smarriti, attratti però e affascinati dal suo amore. E continua a ripetere nei secoli ai suoi discepoli: “Andate dunque! Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. Il motore che smuove l’umanità è solo la potenza della Grazia divina. Chi opera è Lui, il nostro Redentore; noi siamo modesti utili strumenti di bene nelle sue mani.
4. Fratelli sacerdoti, cari fedeli tutti, se il Cristo si fida di noi pur non essendo persone dalla fede salda, non esitiamo a condividere il suo sogno di un mondo migliore, di una nuova umanità. In questi tempi di pandemia il futuro può apparirci incerto, e la ripresa delle nostre comunità ecclesiali e civili carica di non poca preoccupazione. La parola di Dio illumina però il nostro cammino; nella seconda lettura tratta dall’Apocalisse abbiamo infatti ascoltato quest’assicurazione: “Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omega, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente”. Guardando la fiamma del Cero pasquale, sul quale nella Veglia Pasquale sono state incise queste parole, ridestiamo in noi la certezza che Cristo crocifisso e risorto – di cui il Cero pasquale è simbolo – è già vittorioso. Con questa consapevolezza affrontiamo serenamente le nostre quotidiane battaglie al servizio del Vangelo, memori del “sì” pronunciato il giorno della nostra ordinazione; allora c’era in noi l’entusiasmo giovanile ed eravamo pronti a conquistare l’universo. Tra poco rinnoveremo il nostro “sì”, cari presbiteri, più coscienti delle nostre fragili forze, ma con piena fiducia in Colui che ci assicura la sua Grazia per proseguire ad impegnarci nel ministero della parola di salvezza, seguendo il suo esempio di capo e pastore. Unica condizione, che l’esperienza c’insegna a comprendere sempre di più, è lasciarci guidare non dal tornaconto umano, ma dall’amore. Il segreto del nostro apostolato è l’Amore di Dio, lo Spirito Santo che domani, solennità della Pentecoste, scenderà abbondante sulle nostre comunità. Disponiamoci ad accoglierlo e invochiamolo incessantemente perché ci rinnovi e con noi arricchisca dei suoi multiformi doni le nostre comunità segnate dalle conseguenze del lockdown, che ha lasciato tracce di fatica nelle persone, nelle famiglie e nelle convivenze sociali. Vieni, Spirito Santo e rinnova le nostre parrocchie e comunità! E Tu, Santa Madonna, presente in preghiera con gli apostoli nel Cenacolo a Pentecoste, accompagnaci nel nostro quotidiano ministero; ci sii madre e sostegno, guida e modello. Ci consacriamo a Te, Vergine Madre della Chiesa, che risplendi sul nostro cammino come segno di salvezza e di sicura speranza. Ci affidiamo a Te pieni di fiducia, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria. Amen!